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LA TRASGRESSIONE NEL PIATTO

Seguire un regime alimentare equilibrato, cercando di mantenere la linea, è cosa buona e giusta, ma sgarrare ogni tanto fa bene al corpo e all’anima

Da una parte ci bombardano con diete di ogni tipo, spesso rigide e faticose;  dall’altra ci inondano di trasmissioni televisive di cucina, nelle quali si snocciolano ricette non di rado succulente e sostanziose. Come muoversi in un tale confuso intreccio di indicazioni?  Tanto più che fra poco è Natale e, come in tutte le festività che si rispettino, arrivano sulle nostre tavole i ricchi menù della tradizione, fatti di portate allettanti e nutrienti. In che modo allora cercare di mantenere la barra dritta in questo mare di messaggi contraddittori, che spesso suscitano ansia e disorientamento? Senz’altro ricorrendo al buon senso prima di tutto, imparando a controllare l’assunzione di cibo, che non deve essere disordinata ma neppure scandita da regole ferree. «Noi abbiamo bisogno di stare alle regole, ma abbiamo altrettanto  bisogno di trasgredire», sostiene Giuditta Manzoni, psicologa e psicoterapeuta, «perché trasgredire vuol dire anche volersi bene». Tenendo conto, comunque, del fatto che il termine ‘trasgredire’ significa andare oltre il limite che ci si è posti, ma per un tempo circoscritto, cioè ogni tanto. «Per essere trasgressiva, infatti, un’azione deve avere dei confini temporali ben definiti, altrimenti entra a far parte di un modo di essere e non è più trasgressione. La sua caratteristica è l’eccezionalità», specifica Manzoni. In altre parole: ciò che si fa saltuariamente non interferisce più di tanto con la nostra vita, a differenza di quel che si fa ogni giorno,  una regola che nell’alimentazione assume un significato ancor più incisivo.  Se seguire con rigore una dieta o un regime alimentare specifico (non per ragioni di salute, ovviamente) diventa causa di sofferenza e di stress, vuol dire che questa non funziona, come spiega la psicologa: «Per farci stare bene, una cosa o un’azione non può schiavizzarci o diventare un rituale vuoto o ancora peggio un'ossessione. Se andando al supermercato, per esempio,  si spende una dose di energia esagerata nel verificare attentamente tutti gli ingredienti, le calorie di ogni singolo prodotto, quasi in maniera ossessiva,  si sta già producendo un danno. Per stare bene è necessaria un’accettazione serena della propria condotta alimentare. D’altra parte, è noto che tutto quel che diventa assoluto e rigido genera disagio».  
Il cibo in bilancia  L’atteggiamento corretto nei confronti del cibo, dunque, è quello che secondo la dottoressa Manzoni risponde a una logica coniugativa, come quella che sta dietro alla trasgressione, una logica che implica  l’esistenza della correlazione ‘e-e’; per esempio: e sto a dieta e mangio la torta: è come riconoscere la compresenza di due elementi apparentemente contrapposti, ma che insieme creano un giusto equilibrio. «È un po’ come nella filosofia dello yin e dello yang – specifica-: ci deve essere un po’ di bianco nel nero e viceversa perché ci sia armonia, altrimenti si rischia di pendere troppo da una parte o dall’altra, con conseguente insorgenza di disagio e sensi di colpa. O meglio, anzi peggio, si rischia di seguire una logica disgiuntiva che risponde a una sorta di aut-aut, ovvero a una correlazione ‘o-o’, o questo, o quello, la cui caratteristica principale è la rigidità: una intransigenza che non è funzionale allo stare bene. Potrebbe anzi essere sintomo di voglia di punirsi, che è l’esatto contrario del significato della vera e sana trasgressione, cioè volersi bene». Se la psiche influisce sul modo di mangiare, come anche molti studi sostengono, è vero pure il contrario: si può migliorare l’ umore mangiando.  È sempre e solo una questione di misura; basta imparare a nutrirsi in modo equilibrato e calibrato sul tipo di vita che si conduce, e ogni tanto concedersi una pausa, una piccola trasgressione che serve a anche a rinforzare la capacità di sapersi controllare e di conseguenza ad accrescere l’autostima. I cibi che piacciono di più in genere, si sa, sono sulla lista ‘nera’, ma pazienza: una tantum si può fare.  D’altra parte il cibo è anche piacere, è gratificazione personale, condivisione sociale, identità. Mangiare  non significa solo mettere in bocca un alimento  per sopravvivere, ma farlo insieme ad altri per esempio, che possono essere amici, familiari o comunità con gli stessi gusti o le stesse esigenze, vuol dire instaurare o rafforzare delle relazioni personali, che sono essenziali per la specie ‘uomo’. Oppure cimentarsi nella creazione di ricette belle e buone, che possano soddisfare il bisogno di mettersi alla prova. 
La giusta pausa  Perciò, concediamoci quella barretta di cioccolato o quella fetta di torta che tanto ci attira, e lasciamoci andare alle tentazioni culinarie del Natale e del Capodanno, a patto che sia una volta ogni tanto e in quantità ragionevole. Come qualcuno ha fatto notare, seguire un regime alimentare appropriato, che non è necessariamente una dieta, è un po’ come percorrere una lunga strada e ogni tanto fermarsi per rifocillarsi. Una pausa necessaria.  «Come la domenica nella settimana, una giornata diversa in cui si fanno cose che esulano dal quotidiano – aggiunge  la dottoressa Manzoni-. Una volta peraltro c’era il rito delle paste la domenica: durante la settimana non comparivano dolci sulle nostre tavole, se non raramente,  ma la domenica si andava a comprare “le paste”, si sgarrava dal solito menù settimanale», si trasgrediva. Il che aveva un significato importante nella dinamica delle relazioni: la domenica era il giorno del riposo, in cui ci si riappropriava del proprio tempo dedicandosi alle cose che più piacevano, ai pranzi con i propri cari, più ricchi del solito.  E forse lo è ancora. «E poi la trasgressione riporta al gioco – conclude Manzoni - a quel bambino che, si sa, rimane in noi, che deve rimanere in noi sebbene rifugiato in un angolo. Significa mettere il dito nella marmellata quando la mamma non vede, senza il suo permesso».